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Dopo essere stata resa pubblica da un organo d’informazione, una bufala va incontro a due smentite convergenti: alla prima ci pensano i media concorrenti (ben lieti di cogliere in fallo un rivale), mentre della seconda deve farsi carico, per legge, la testata che l’ha pubblicata.

La legge prevede infatti l’obbligo, da parte del mezzo d’informazione che ha diffuso una notizia falsa, di provvedere alla sua smentita.

Quando l’utente viene a sapere dai media che quella che era stata data come notizia era invece una bufala, non fa resistenza, e accetta la smentita con naturalezza. Siamo sempre nel campo della comunicazione verticale: sia la bufala che la sua smentita sono arrivate al cittadino dai media, vale a dire dall’alto. Da una fonte impersonale, e per lui incontrollabile. Perciò, così come aveva accettato quella notizia come vera, ne accetta la smentita.

La bufala, che per diffondersi come vera aveva approfittato dell’autorevolezza del giornale X, utilizza quella stessa autorevolezza (di quello stesso giornale X, che ammette di essersi sbagliato) per scomparire.

Questo meccanismo viene innescato in special modo quando la bufala è grossa. In tal caso, per il clamore della concorrenza, e/o per le rimostranze della parte lesa, il giornale si vede spesso costretto a riservare alla smentita lo stesso spazio che aveva dedicato alla “notizia”. E’ così che la smentita raggiunge il grosso pubblico. Ovviamente, nessun giornale è contento di ammettere di aver pubblicato una bufala: se appena gli è possibile, eviterà perciò di smentire. Oppure dedicherà alla smentita uno spazio modesto, nelle pagine interne (mentre magari la bufala aveva avuto gli onori della prima pagina). Così mimetizzata, la smentita rischia di sfuggire a molti. E ai tanti personaggi “minori” danneggiati dalla bufala non viene restituita l’onorabilità perduta.

Ben diversa è la situazione quando a dover essere smentita è una leggenda metropolitana. Smentire una leggenda metropolitana è praticamente impossibile. Provare a farlo utilizzando i media, e quindi la comunicazione verticale, conduce inevitabilmente al fallimento. Le leggende si diffondono attraverso un tipo di comunicazione del tutto differente: la comunicazione “orizzontale”, cioè il tamtam interpersonale. La fonte di una leggenda è sempre un amico, un parente, o comunque una persona ben conosciuta, e dunque estremamente affidabile.

Che racconta come vera una storia del tutto falsa. E’ proprio questa grande attendibilità della fonte a rendere impraticabile qualsiasi tentativo di smentita di una leggenda metropolitana da parte dei media: ammesso che un giornalista sappia con certezza che ad es. la storia della coppia rimasta incastrata durante un amplesso è una leggenda metropolitana, cercare di smentirla sul proprio giornale non gli servirebbe a niente. I lettori che se la sono già sentita raccontare si fidano infatti molto di più della propria fonte – l’amico che gliel’ha riferita, e garantita! – che delle dichiarazioni di un giornale. Sul quale – anche quando è quello che legge ogni giorno, ed è quindi “di fiducia” - il semplice lettore sa di non avere alcuna possibilità di controllo. Ma forse chi di voce ferisce, di voce perisce: una storia orizzontale, qual è una leggenda, si può provare a smentirla con lo stesso sistema. Vale a dire, utilizzando la comunicazione orizzontale. Ma anche qui ci aspetta un fallimento.

Per innescare un tamtam che percorra a “ritroso” il passaparola ci vorrebbe probabilmente lo stesso numero di anni impiegato da una leggenda per diffondersi. Anzi, molti di più: perché la smentita incontrerebbe delle enormi resistenze. Ad opporvisi sarebbero proprio i ripetitori della leggenda che si intende smentire.

Il ripetitore è uno che non si è limitato a ripetere un racconto. Per dargli maggiore forza, e dunque per renderlo più credibile agli occhi di un ascoltatore scettico (e ce ne sono tanti!) il ripetitore, nel passarlo appresso, si è avvicinato alla fonte: sostenendo, falsamente, che quel fatto è accaduto proprio a lui. O a una persona a lui molto vicina. Il ripetitore, nel tentativo di certificare come vera la leggenda che va raccontando, vi appone, avvicinandosi furbescamente alla fonte, la propria firma. Insomma, in quella storia il ripetitore ci mette la faccia: ma se dovesse essere smentita, rischia di perderla.

Tutto questo per dire che smentire è un po’ un morire: nel senso che è una fatica terribile. Per riuscirvi, bisogna infatti andare a toccare gli interessi di decine di migliaia di ripetitori, che ormai si sono sbilanciati a favore di quella storia. E sono perciò determinati a difendersi: con le unghie, e con i denti.

Non per questo si deve rinunciare all’impresa. La smentita di una leggenda è un’operazione importante, e necessaria: ci sono in giro troppe storie false che danneggiano aziende e persone, e che sarebbe utile poter smantellare. E’ per questo che in comunicazione, oltre a chi le leggende metropolitane le crea (il legedmaker), serve anche qualcuno che le demolisca, rendendole innocue: il legendbuster.

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